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IL PAZIENTE INGLESE
(THE ENGLISH PATIENT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 marzo 1997
 
di Anthony Minghella, con Ralph Fiennes, Juliette Binoche, Kristin Scott Thomas, Willlem Dafoe (Stati Uniti, 1996)
 
Romanzi corposi (come questo di Michael Ondaatje) tradotti in lungometraggi-fiume, melodrammi strappalacrime che si esaltino in monumenti del kitsch, paesaggi immensi, impervi, comunque romantici che ci convincano che le passioni amorose e preferibilmente contrastate possano condurre a riflessioni filosofiche, film di grande dispendio economico, logistico, fisico che diventino candidati naturali agli Oscar, film come IL PAZIENTE INGLESE, perché no?

C'è pure stato (ed il primo a non averlo scordato è proprio Anthony Minghella...) l'Assoluto dell'individuo assorbito nel fascino morboso del deserto di LAWRENCE OF ARABIA, quello della passione persa nell'esotismo kitsch di CASABLANCA, la separazione finale di Gregory Peck da Jennifer Jones in DUELLO AL SOLE, o ancora l'addio straziante degli amanti nella casa stretta fra i ghiacci del DOTTOR ZIVAGO. Che qui ricorda la (bella) scena di Kristin Scott Thomas lasciata sola nella caverna del deserto da Ralph Fiennes.

Già. Ma David Lean o King Vidor avevano ciò che manca all'inglese trapiantato ad Hollywood Minghella. Una sceneggiatura solida, tanto per cominciare. Capace di condensare la massa d'informazioni contenute in un romanzo, o il potere di rinvio della parola scritta in una progressione cinematografica di ragionevole dimensione e comprensione. Poi, l'arte di comporre dei personaggi: che con la loro compiuta credibilità rendano accettabile la più rocambolesca, melodrammatica appunto, emotivamente gonfiata delle vicende. Ed il lirismo: quello che trasforma la linea delle dune sabbiose in infiniti rinvii sensuali, l'intreccio delle casbah medio-orientali in elucubrazioni mentali, le colline toscane in recuperi metafisici della memoria. O, ancora, il senso della dismisura. Che permette di non dover scegliere fra realtà ed invenzione fantastica: e giungere al potere trasfigurante di questa, senza dover rinunciare maldestramente alla logica di quella.

IL PAZIENTE INGLESE non mancava certo d'ingredienti: soldi a disposizione per darsi alla ricerca di luoghi splendidi, un quartetto d'attori a dir poco invidiabile, fotografia e musica assolutamente professionali. E tanto pathos, mistero ed avventura. Ma senza quel lievito prezioso capace di scovare una costante ("la geografia dei corpi e dei sentimenti è quella che prevale su quella della violenza e della follia umana") tutto si riduce ad una storia di corna. Ed ad un paio di altrettanto assurde e disordinate amenità di quell'Europa travagliata tra il 38 ed il 45.


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